Il Pullmino Gir anche questa volta non si vede ne all’orizzonte ne al parcheggio riservato agli Ospiti.
Nemmeno il miraggio di un Caseificio, di una vera Pizza, li ha fatti smuovere dai loro divani ,dai loro improrogabili impegni da pigri cinquantenni e più.
I famigerati e ormami mitologici paninetti con la salsiccia del Megu, fanno ormai parte dell’immaginario collettivo che si sono persi nei meandri della memoria e dei sediolini del pulmino Gir da 9.
L’unico Gir,qui nella Terra degli Stregoni, è ancora colui che viene sempre da più lontano di loro e per una volta gioca quasi in casa e non si sente Foresto e Avellinese come tutto l’anno da tanti lustri.
Benevento mi ospitò solo una volta precedentemente:
Ad un concerto di Eugenio Finardi che andai a vedere da solo percorrendo scarsi 30 km in un trenino forse a vapore o elettrico,nel secolo scorso.
Talmente belle Musica Ribelle e Le ragazze di Osaka, che il giorno dopo era in programma il bis, sempre in piazza tra le luminarie, che decisi di aspettare nella cabina dove ancora oggi si fanno le foto tessera, nell’atrio di una deserta stazione ferroviaria, con la tendina oscurante e svolazzante a farmi da lenzuolo, il sediolino roteante come letto e una parete di plastica come cuscino.
Fu l’unica volta che in gioventù non feci ritorno a casa.
Il Barone,che non è il Rampante,ma semplicemente mio cugino mi avverte una settimana prima:
"Nel settore ospiti non vengo,perché poi ci fanno uscire troppo tardi”
La sua disponibilità e generosità è inversamente proporzionale alla sua predisposizione e presenze nelle Curve e nelle Gradinate.
Ma non per questo lo chiamo il Barone.
E allora ci tocca la Tribuna,imbabuccati come Babbo Natale,lui anonimo nell’abbigliamento io almeno con uno scaldacollo del Grifone appena capovolto.
Nunzia non la vedo: starà preparando una nuova puntata di quell’orrido programma che passava in RaiUno per far dimenticare al popolino le sue lettere di raccomandazioni quando era addirittura al Governo,prima che la beccassero come una democristiana qualsiasi.
Clemente non c’è,immerso nel plaid e al tepore del caminetto come appare da Giletti manco fosse ospite del Letterman Show.
Non vedo l’Avellinese che ha fatto fortuna nel Sannio con le sue Aziende e tiene in vita una squadra e una società che a detta di chi ha visto per anni la Serie A, “non sanno manco se o’pallone è rotondo o quadrato”.
Lo stadio Vigorito mi ricorda incredibilmente il Partenio della mia città, l’ospitalità e la civiltà dei sanniti,nessun grido offensivo ne all’arbitro ne ai Genoani,è esemplare e da apprezzare.

Un flashback inevitabile mi illumina la memoria offuscata dal tempo e quei fotogrammi di immagine sono come i tergicristalli di una vecchia Alfa Romeo:
Io e la Segretaria nella nostra città a vedere il Genoa nel settore di Ospiti di tanti anni fa:
Due persone mi si avvicinano a passo lento,a braccetto,legati dall’amore e dalla passione per il Lupo:
Lui in giubbotto marrone,quello che oggi io stesso indossavo, si avvicina al vetro divisorio e mi sussurra attraverso quello spazio trasparente un qualcosa, una parola che la prima volta,non capii o non volli capire:
“Te Avellinese con i Genoani nella tua città:Vergognati”
Lei con la sua inseparabile borsetta e un piccolo foulard biancoverde,lo rimbrottò con un leggero tocco al gomito,impercettibile ai più,ma non a me.
Anche loro, dopo e per tanti anni divennero simpatizzanti del Grifone e non solo perché “si dispiacevano per me se il Genoa avesse perso”.

Gilardino in panchina, sembra uno spettatore non pagante e si agita meno di me in mezzo ai sanniti seppur camuffato e semisilenzioso.
Il “Nanetto”dagli occhi celesti e poi cinesi sulla panchina opposta se la tira come un divo della passarella,proprio quando lo vidi da vicino su un volo da Napoli.
Non aveva tacchi ma si elevava al cielo a forza di spocchia napoletana annaffiata da quella mondiale.
Il secondo tempo ,dopo un primo dominato e in totale controllo,mi da l’impressione che i due campioni del mondo si siano messi d’accordo tacitamente per un tacito pareggio scritto alla Snai e silenziato in campo.
Cerco cambiando più posti possibile,la mossa tattica vincente,il cambio decisivo,il guizzo giusto,per portare a casa,non so più quale a dire il vero,i tre punti.
Il Barone lotta con il freddo e mi controlla a vista come un bodyguard,il settore non smette mai di incitare la squadra,persino Mimmo corre ancora, lui che davvero non ne ha più a 36 belin di anni suonati.
Sui gelidi sediolini gialli e rossi ,una piccola fila di ragazzini sfoglia gli Album Panini ricevuti in dono all’ingresso:
Sono i bambini scesi al fianco delle squadre al momento del calcio d’inizio.
Fanno tenerezza per quanto sono piccoli e infreddoliti e della partita francamente se ne fregano,intenti a scambiarsi i doppioni dei calciatori e incollare le prime figurine,come tutti noi tanti anni fa.

Sono sempre più frenetico e agitato,incapace a restare fermo,restio ad accettare un pareggio che in fondo ci andrebbe pure bene.
Quando Aramu spreca l’ennesimo passaggio dopo aver giocato a nascondino per tutto il secondo tempo ed io impreco facendomi spacciare goffamente per un tifoso locale grazie al comune accento e dialetto,uno dei ragazzini esce dalla fila e mi si avvicina ,proprio come fecero quel lontano giorno i miei genitori:
Non so definirlo bene ,non riesco a trovare le parole,anche se le “spulcio e le scorteccio” come canterebbe Lindo,ma alla sua domanda stento ad identificarmi come un Uomo “in parabola discendente” come disse un giorno mio cugino ,il Prof.Festa,oppure come ad un Genoano nemmeno tanto lontano almeno con gli anni.
Puskas vola in alto,la mossa tattica giusta era rispostarmi verso il settore ospite,il Barone con lo sguardo mi intima di stare tranquillo,il Genoa segna e vince, la squadra va a salutare i tifosi, lanciano magliette,ed io immortalo i momenti più con gli occhi che con le immagini immagazzinate in uno Xiaomi,sono felice,il Pullmino Gir non c’è ma riparte nella mia fantasia, mi dedico addirittura la vittoria per il mio lungo viaggio che ha sconfitto pure la minima e accolgo con un sorriso nel mio cuore la frase innocente di quel bambino:
"Sei il Papà di Coda?”
Sentirsi “vecchio”e Genoano in fondo non è cosi male.
Anzi è davvero bello.
IannA